venerdì 8 ottobre 2010

Israele e Sudafrica: amici nel razzismo, divisi nel post-apartheid

Ancora oggi a molte persone risulta difficile credere che il regime razzista di Pretoria, il Sudafrica dell'apartheid, godeva di ottimi e calorosi rapporti con lo stato ebraico.
Naturalmente, la vulgata dei media filoisraeliani, (che a sessant'anni, sette guerre e dozzine di massacri dalla fondazione di israele ancora propala la leggenda del "piccolo davide", popolato di miti sopravvissuti all'Olocausto che deve difendersi dai barbari e violenti "islamici"), non ha molto interesse a diffondere la consapevolezza dei "flirt" sionisti coi peggiori regimi del dopoguerra (Sudafrica, ma anche l'Iran dello Scià, il Cile di Pinochet, da Idi Amin Dada fino ai colonnelli greci e ai neofascisti italiani).

Ma la lunga e prolifica "liason" fra politici e generali israeliani e i loro "colleghi" afrikaner del Capo trova una immediata e logica spiegazione se analizzata attraverso due prospettive: la politica internazionale del tempo e l'ossessione israeliana della "razza".
Israele, giannizzero mediorientale degli interessi USA, veniva usato come "stampella" di un regime estremamente impopolare a livello internazionale (il Sudafrica) che tuttavia Washington aveva interesse a usare in funzione anti-sovietica nell'Africa australe.

Si pensi quel che si vuole dell'URSS, ma la politica russa in Africa è sempre stata quella di sostenere i movimenti di emancipazione nazionale anticolonialisti e anti-imperialisti, cosa che preoccupava molto la Casa Bianca e il Pentagono.

Il Mozambico, l'Angola, lo Zimbabwe, si erano liberati dai Portoghesi (i primi due) e dal regime razzista rhodesiano (il terzo) grazie all'URSS e Washington voleva un Sudafrica armato e aggressivo che contrastasse questo "domino africano", poco importa se fosse un regime razzista e un paria internazionale.
Israele servì quindi a questa bisogna. Le centinaia di attivisti per i diritti civili e il superamento dell'apartheid uccisi e fatti sparire, le migliaia imprigionate e torturate furono solo "vittime collaterali" di questa astuta mossa politica del "bravo e democratico mondo occidentale"; così come le vittime delle guerre di aggressione portate avanti da Pretoria: Angola e Namibia su tutte.

Il Sudafrica razzista attaccò l'Angola liberatosi dai portoghesi. L'aiuto cubano fu fondamentale per fermare gli invasori
Israele, ingrassato e imburbanzito dalle munifiche elargizioni di "aiuti" americani, collaborò coi razzisti sudafricani ammodernando il loro vetusto arsenale: trasformò i loro carri armati con la dimestichezza ottenuta sui Centurion dell'IDF, e i loro jet con l'esperienza fatta sui Mirage francesi.
Non solo, ma non contento di aver trasformato uno stato come il Sudafrica in una potenza regionale, Israele arrivò perfino a dotarlo di un arsenale nucleare; le cinque bombe atomiche in possesso dei razzisti di Pretoria vennero smantellate quando De Klerk decise finalmente di rinunciare all'apartheid (fosse mai detto che lasciassero armi nucleari in mano ai neri!!).

Per l'altro punto di vista, è certo che i politici e i generali israeliani vedevano il Sudafrica razzista, dove una minima minoranza bianca signoreggiava e tiranneggiava la stragrande maggioranza della popolazione "colorata" come un esempio, come il "modello" di ciò che doveva diventare lo stato ebraico in futuro.

I trend demografici parlavano chiaro: i cittadini israeliani ebrei (la "razza superiore") stavano rapidamente diventando meno prolifici degli arabi israeliani e dei Palestinesi dei territori: se questi "sottouomini" fossero diventati la maggioranza, come potere impedire che si impadronissero anche delle leve del potere?

La risposta, ovviamente, venne trovata in Sudafrica: tramite la sistematica importazione dei metodi di Pretoria, tramite l'apartheid e i bantustan, tramite la segregazione non solo fisica, ma anche economica e culturale di strati sempre maggiori della popolazione; senza il pericoloso "impiccio" della democrazia l'elite ebraica, anche gravemente sottonumero, avrebbe potuto continuare a tirare i fili del potere indeterminatamente.

Nessuno è più convinto di ciò dei politici israeliani, che pure non lo ammetteranno mai, ma se ascoltate le loro dichiarazioni e le loro giustificazioni esse assomigliano sempre più a quelle dei loro "colleghi" afrikaner di venti o trent'anni fa; altrettanto convinti di ciò sono i sudafricani odierni, coloro che l'apartheid hanno abbattuto e sconfitto, che sono sempre molto vocali e decisi nello schierarsi dalla parte dei Palestinesi senza "se" o "ma" di sorta e che non provano per israele se non disprezzo e ostilità.

Per i nostri lettori che sono fluenti nell'inglese e che vogliono approfondire questa tematica (non sperate di sentirne parlare i vari Mentana o Mineo dell'informazione italiana!!) c'è un ottimo libro di Sasha Polakow-Suransky che si intitola, appropriatamente "L'alleanza di cui non si parla", "Amazon" lo vende a meno di 20 Euro.

1 commento:

  1. Ma la Storia li ha sconfitti.... la loro è una storia losca che prima o poi coinvolgerà anche il loro sistema marcio ... la loro finenè slomquestione di tempo.. Alp Arslan

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