giovedì 7 aprile 2011

La Turchia gioca le sue carte in Libia e si allena col "soft power" in attesa di inaugurare il suo 'Secolo asiatico'


L'iniziativa diplomatica turca per addivenire a un accordo tra lealisti gheddafiani e insorti cirenaici ci dice molto di molte cose: dell'aria che spira tra Ankara e Istanbul e di come il Primo Ministro Recep Erdogan e, forse ancora di più il suo Mazzarino con delega agli Esteri, Ahmet Davutoglu, intendono proiettare il morbido potere accumulato dalla repubblica turca in questi anni.

Innanzi tutto: "Come mai proprio un'iniziativa turca?" risposta semplicistica, perché Ankara ha centinaia di milioni di euro investiti in Libia, forse altrettanti che l'Italia, oltre ventimila turchi vivevano e lavoravano in Libia solo che, al confronto di quanto accaduto ai nostri connazionali, costoro sono stati rapidamente evacuati in tutta sicurezza appena le proteste anti-Gheddafi hanno iniziato a farsi violente -mentre il bel gagà della Farnesina annaspava alla disperata ricerca di un'idea su che cosa dire o che cosa fare-; risposta complicata, per quanto fastidioso per gli interessi commerciali e gli investimenti turchi l'impasse libico costituisce, d'altro canto una importante occasione di mettere alla prova il prestigio e il 'clout' internazionale accumulato dal duo Erdogan-Davetoglu, perdipiù in un'arena (l'ex possedimento ottomano) non immediatamente adiacente all'Anatolia, da cui quindi é lecito non aspettarsi eccessivi contraccolpi se qualcosa andasse veramente male.
Ieri gli italiani si vantavano di spaventare i beduini con gli aeroplani nella loro guerra per conquistare la Libia agli Ottomani, oggi non é detto che siano proprio i Turchi a sostituire l'Italia come partner privilegiato della nuova Libia post-Gheddafi.
Attualmente la Turchia condanna i raid Nato e l'avventurismo francese, cerca di mediare tra insorti e lealisti, trasporta container su container di aiuti umanitari, che non comprendono bandierine e striscioni come quelli di Sarkozy, ma la cui provenienza é nota a tutti e molto apprezzata, con ogni carico la consapevolezza del coinvolgimento turco nella crisi aumenta anche a livello popolare e la gratitudine cresce. Gli occhi (e le aspirazioni) del leader dell'AKP e del suo Ministro degli Esteri (già ordinario di Relazioni Internazionali all'Ateneo di Marmara, mica un maestro di sci!) tuttavia, sono già sollevati e fissati su un orizzonte più distante, un traguardo chiamato BRICZaT.

BRICZaT? Già, tra le potenze emergenti del BRIC (Brasile, Russia, India, Cina) qualche osservatore e commentatore di Geopolitica comincia a inserire anche il Sudafrica (Zuidafrika, in afrikaans) e, a questa estensione, Erdogan e soprattutto Davetoglu vogliono appiccicare un'appendice tronca con la 'T' di Turchia. Ma la Repubblica già di Kemal e dei generali nazionalisti e filo-occidentali, ora portata allo splendore dalla 'democrazia musulmana' dell'AKP, ha veramente le carte in regola per fare tale 'salto di qualità', per proporsi come potenza 'tout court' sull'agone mondiale?

In mancanza di sfere di cristallo funzionanti (rubiamo questa metafora a Miguel Martinez, certi che non se la prenderà troppo...) consideriamo qualche dato...in tre decadi la Turchia avrà probabilmente la quarta o terza economia d'Europa, ben differenziata e forte nel settore manufatturiero, un solido know-how tecnico scentifico, garantito dal crescente livello delle sue università e del suo settore della ricerca, con in più una popolazione superiore a quella tedesca e un esercito forte e moderno, giusto perché non si sa mai. I presupposti, dunque, parrebbero esserci.

Per indovinare, o forse meglio intuire le vie che Ankara potrebbe percorrere nel tentativo di raggiungere quel Radioso sol dell'Avvenir, potrebbe essere utile sfogliare le pagine di un libro di dieci anni fa, pubblicato a Istanbul e intitolato "Stratejik Derinlik: Turkiye'nin Uluslararasi Konumu". L'autore, guardacaso, é proprio Ahmet Davetoglu e traducendo l'intestazione del volume si ha "La Profondità Strategica e la Posizione internazionale della Turchia". Profondità strategica! Ecco un bel concetto foriero di parecchie illuminanti rivelazioni se correttamente interpretato e analizzato.

Nel volume l'autore colloca la Turchia al centro di tre aree sistemate concentricamente: la prima, immediata, comprendente Balcani, Bacino del Mar Nero e Caucaso, la mediana, Mediorientale e Mediterranea di Levante e la terza, più remota, Centrasiatica, Caspica, del Mar Rosso e del Golfo Persico. Nel mondo bipolare della Guerra Fredda la Turchia era monca e muta, non poteva fare altro che montar la guardia al Caucaso armi in mano, temendo il momento i cui i sovietici avessero tentato di forzarsi la via verso Tabriz o verso il Bosforo, ma, in un mondo multipolare a decisa preminenza asiatica la Turchia diventa una valvola vitale nelle relazioni Est-Ovest.

Il Centro di Guerra navale di Annapolis negli Usa sa benissimo che ben sette punti nodali del traffico marittimo passano per paesi musulmani (Dardanelli, Bosforo, Suez, Bab el-Mandeb, Hormuz, Malacca, Sonda e Lombok), di questi ben due sono in mano ad Ankara e, con il crescente prestigio che l'AKP sta acquisendo negli ambienti dell'Islam politico internazionale (essendo il primo e finora unico partito politico musulmano arrivato al potere senza violenza ed essendoci rimasto per oltre un decennio) e il rafforzarsi dei legami tra Turchia e Iran non é detto che almeno due (Suez e Hormuz) e forse altri di questi 'chokepoint' non debbano presto rientrare nella sfera d'influenza turca.

La liason strategica tra Ankara e Teheran potrebbe diventare, all'inizio del XXI Secolo quello che l'Intesa Franco-Tedesca rappresentò nell'ultima parte del Ventesimo, una partnership tra stati-nazione duramente e ferocemente contrastanti per la maggior parte della loro storia (esattamente come francesi e tedeschi), ma capaci, insieme, di dare l'abbrivo a un fantastico processo di stabilizzazione e crescita che si spera abbia maggiore respiro ambizione e solidità dell'illusione unitaria di Bruxelles, naufragata fra egoismi paralizzanti, imbarazzante servilismo verso Israele e Usa, ossessioni liberiste e bancarie che prendono il posto dell'attenzione al Sociale e al Lavoro.

Ovviamente le potenze che vogliono opporsi al decollo economico e politico della Turchia, cioé Washington e Tel Aviv, cercheranno di ostacolare in tutti i modi questa intesa e di frustrare tutti gli sforzi diplomatici e di immagine di Erdogan e Davetoglu, sarà proprio nel rapporto tra le opportunità che si aprono e le minacce legate alle pedine israelo-americane nella regione (l'Arabia Saudita, i curdi del Nord dell'Irak e così via...) che dovrà navigare la leadership di Ankara; a ogni 'colpo di timone' si potrà giudicare quanto la distanza tra il traguardo agognato e la realtà vada aumentando o, di converso, rimpicciolendosi fino eventualmente a sparire.

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