mercoledì 3 agosto 2011

In memoria di un combattente valoroso e coraggioso: Yasser Mustafa Sabra, martire di Hezbollah


Yasser Mustafa Sabra nacque a Nairobi il 5 ottobre 1968, da una famiglia libanese che si era trasferita in Kenya per motivi di lavoro; entrambe i suoi genitori (musulmano lui, cristiana lei) erano originari del villaggio di Hadatha, nel Libano meridionale. All'età di 13 anni Yasser perse il padre, perito in un incidente stradale, la madre a quel punto preferì tornare in Libano e, così, il giovane Yasser potè finalmente conoscere a fondo e imparare ad amare a pieno la sua terra d'origine.

In seguito, come il suo genitore, anche Yasser si trasferì per motivi di lavoro, vivendo in Svizzera per diversi anni; quanti lo hanno conosciuto concordano che, nel periodo passato nella Confederazione Elvetica Yasser assorbì tutti i valori positivi che incontrò nella cultura europea, facendoli propri, ma al contempo riuscendo a evitare e sfuggire tutto quanto non riteneva consono alla sua natura e alla sua cultura, arricchendosi di ciò che giudicava positivo ed escludendo quel che invece gli sembrava pernicioso o inadatto.

Nel 1988, Yasser, presso un conoscente libanese che viveva a sua volta in Svizzera sentì parlare per la prima volta di Hezbollah e della Resistenza sciita, che difendeva le comunità del Sud del Libano dagli abusi e dalle aggressioni degli occupanti sionisti e dei loro lacché venduti e traditori, i miliziani dell'SLA di Emile Lahoud. Da quel momento Yasser iniziò a seguire le gesta della Resistenza a ogni occasione e, pian piano, sentì necessario unirsi a essa, per cacciare gli occupanti dalla sua Patria e per difendere le terre natali di suo padre e di sua madre, a cui, pur con i suoi prolungati viaggi e soggiorni all'estero, anch'egli si sentiva indissolubilmente legato.

Nel 1992 Yasser tornava in Libano per restarci; alla prima occasione contattò una cellula di Hezbollah e, con sua grande gioia, venne accettato nei ranghi dell'organizzazione, prendendo parte a molte operazioni riuscite contro gli invasori e i loro scherani, attraverso le crudeli e brutali rappresaglie, fino alla data gloriosa del ritiro dei sionisti nel 2000 e della sconfitta e della fuga dell'SLA. Yasser tuttavia non abbandonò i suoi camerati di Hezbollah, molti dei quali guardavano a lui come a una guida e a un esempio, lui che aveva lasciato una comoda e agiata vita in Europa per mettere in gioco tutto a favore della sua patria, della sua gente e della sua fede.

Venne il 2006 e la nuova invasione sionista, Yasser, ormai ufficiale sul campo, condusse molte operazioni di battaglia contro gli invasori e di rappresaglia con lancio di razzi oltre confine, fino al 30esimo giorno di guerra (11 agosto 2006). Quel giorno egli trovò la gloria del martirio, quando, dopo un breve periodo in cui era riuscito a tornare dalla sua famiglia, venne urgentemente richiamato sul campo dove una situazione d'emergenza chiedeva la sua leadership e la sua esperienza per venire affrontata con successo.

Alla mezzanote precisa Hadatha, il villaggio dei suoi genitori, venne preso di mira da un bombardamento sionista di inusitata violenza, a Yasser l'intelligence di Hezbollah annunciò come probabile uno sbarco eliportato di forze di invasione, calcolato in 450-500 soldati d'elite, della brigata di paracadutisti. Yasser aveva meno di cento uomini con sé eppure, quando i paracadutisti della famosa brigata fondata dal Macellaio Sharon scesero ad Hadatha la violenza del fuoco incrociato che li accolse fu tale che, nel panico, il loro ufficiale comandante parlò di "mille hezbollah" che li avevano presi in trappola (cifra assurda visto che la Resistenza sciita non mobilitò mai più di quattromila uomini in tutto il conflitto del 2006).

La conoscenza del terreno acquisita da Yasser nei quattordici anni della sua militanza gli aveva permesso di piazzare ogni uomo, ogni fucile, ogni mitragliatrice in posizioni tanto vantaggiose da moltiplicarne l'efficacia di cinque, forse di dieci volte. La sparatoria di Hadatha proseguì ferocissima per ore ed ore, i sionisti chiamarono raid aerei e sbarramenti di obici e cannoni sul villaggio, nel tentativo di mettere a tacere le armi di Hezbollah, ma, alla fine, non poterono fare altro che richiamare gli elicotteri ed evacuare la zona.

Il corpo di Yasser Sabra venne trovato senza vita in un cratere, l'esplosione di un razzo lanciato da un aereo lo aveva investito uccidendolo e, non appena fu possibile, i suoi camerati di Hezbollah lo recuperarono, lo composero e gli tributarono un funerale degno di un martire del popolo, della patria e della fede. Ricorda la moglie di Sabra: "L'ultimo giorno in cui vidi mio marito era venerdì e, preparandoci alla preghiera, mi sembrò che ogni suo gesto fosse più studiato e più misurato del solito, come se, in qualche modo, sapesse o presentisse che quella poteva essere l'ultima preghiera della sua vita".
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