mercoledì 7 settembre 2011

Israele, paese dell'Apartheid, dove nemmeno essere Ebreo garantisce i tuoi diritti, se sei anche africano!


Di tutti i milioni di persone che vivono nella porzione di Palestina occupata che dal 1948 é stata artificiosamente soprannominata 'Stato di Israele' (dove 'stato' andrebbe ovviamente scritto in minuscolo, come si scrive 'stato di guerra'), forse quelle che possono essere non precisamente giustificate ma forse almeno 'comprese' per essersi prestate con la loro partecipazione ai piani della congrega sionista internazionale sono le genti falasha; bizzarro risultato di una contaminazione culturale che, sulla scorta di antiche carovaniere, portò la cultura e la religione giudaica in terra africana, ammantandole con la bella favola che vedeva protagonisti il saggio Re ebreo Salomone e l'esotica Regina di Saba.

Nei tardi anni '80 il collasso dell'Etiopia di Menghistu e una serie di episodi di siccità progressivamente più devastanti (cortesia delle prime avvisaglie del Riscaldamento Globale) diedero modo al Regime ebraico di avvalersi anche di quelle popolazioni come veri e propri 'askari' e 'bachibozouk' coloniali: raccolti dall'aviazione di Tel Aviv con ponti aerei appositamente battezzati 'Operazione Salomone', giusto per fare bella figura con i media occidentali asserviti che propalavano la frottola dei 'pietosi israeliani che salvavano i loro fratelli neri dalla fame e dalla guerra', ovviamente l'unico motivo di tanto 'umanitarismo' era il desiderio di sradicarli dalla loro terra per trasformarli a loro volta in occupanti e oppressori dei Palestinesi.

Siccome il diavolo fa le pentole ma non i coperchi i politici e generali sionisti che sponsorizzarono quel folle "trasferimento di popolazione" (esercizio in cui si dilettavano anche Hitler e Stalin, che fa ancora più specie perché portato a termine nella più beata indifferenza ebete della comunità internazionale) non tennero conto che i bianchi ebrei ashkenaziti piovuti in Palestina dalla bianca Polonia, dalla bianchissima Russia e da altre lande di Khazaria ancora meno abituate alla diversità etnico-cromatica avrebbero molto mal visto di avere dei vicini 'negri' o per dirla più educatamente a-la yiddish "Shvartser", ingenerando una dei più eclatanti casi di razzismo della razzistissima società israeliana perché, al contrario delle altre legittimate forme di Apartheid, essa é rivolta contro Ebrei, discendenti di persone che si convertirono al giudaismo e assunsero la legge mosaica molto prima che l'uno o l'altra arrivassero ad Atil, tra Caucaso e Kazhakistan.

Oggi, anno di grazia 2011, centosessanta piccoli ebrei etiopi di Petah Tiqvah (10 km da Tel Aviv) sono rimasti fuori dalle aule benché per i loro compagni bianchi ashkenaziti le scuole siano già ricominciate e nonostante che il Municipio avesse giurato e spergiurato che "avrebbe trovato loro una sistemazione prima dell'inizio dell'anno scolastico" lamentando che il compito era dannatamente difficile perché "le scuole (integraliste) religiose non li vogliono e la scuola di Ner Etzion -soprannominata 'il ghetto etiope'- é stata chiusa a causa dei sempre più profondi tagli alle spese sociali".

Come ovunque, anche nel regime dell'Apartheid si taglia il welfare e i primi a soffrirne sono i più disagiati; gli altri, i privilegiati ashkenaziti, rimediano con le scuole private religiose. Anche da questi fatti si evince come il sionismo, esperimento fallito, non sia oggi altro che un bruttissimo sogno da cui vorrebbero svegliarsi persino quelli che, sognandolo, avevano immaginato un futuro migliore, senza realizzare che nulla che sia costruito sulla disperazione altrui può portare vera o duratura felicità.
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