mercoledì 23 maggio 2012

Si aprono in Egitto le urne da cui uscirà il nuovo Presidente: il primo eletto dal popolo!

Oltre cinquanta milioni di potenziali elettori sono chiamati oggi alle urne in Egitto, 15 mesi dopo la deposizione del tiranno Mubarak, nella prima elezione presidenziale democratica nella storia del Paese delle Piramidi. La campagna elettorale, per quanto breve (a causa delle sentenze che hanno squalificato diversi aspiranti candidati per i motivi più diversi, ora sensati, ora capziosi) é stata intensissima e i pronostici sono quanto mai vaghi e incerti visto che bisognerà verificare se la popolazione preferirà ribadire i risultati delle elezioni politiche (che videro la fortissima affermazione dell'FJP e dei musulmani ortodossi di Al-Nour) oppure optare per una 'separazione dei poteri', scegliendo un candidato di garanzia che controbilanci un Parlamento fortemente islamista.

Vi sono 13mila stazioni di voto nelle 27 province egiziane che saranno aperte per 12 ore dalle 8 antimeridiane a quelle serali, oggi e domani. I risultati, però, si conosceranno soltanto una settimana dopo e diversi gruppi egiziani e internazionali hanno già lanciato appelli alla vigilanza contro ogni rischio di manipolazione e broglio da parte della giunta militare di Tantawi, lo SCAF, per cui, a rigor di logica, queste elezioni dovrebbero segnare il canto del cigno, visto che con un Parlamento e un Presidente democraticamente eletti ogni funzione del 'Consiglio Supremo' diventerà ridonandante.

Tra la dozzina di candidati in lizza i più accreditati sono il capo dell'FJP, partito politico della Fratellanza Musulmana, Mohammed Mursi, che ha dominato le elezioni tra gli egiziani all'estero con il 40 per cento delle preferenze ed Aboul Fotouh, ex-membro dell'Ikwhan che aveva rassegnato le dimissioni per potersi candidare quando sembrava che la potente confraternita religiosa non avesse intenzione di presentare un proprio candidato. Più marginali rispetto a questi due appaiono i candidati Amr Moussa e Ahmed Shafiq, ambedue ex-Primi Ministri, i cui passati legami col regime di Mubarak sembrano precludere realistiche chances di successo.
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