martedì 30 luglio 2013

Quindici morti al Cairo in uno scontro tra negozianti e venditori ambulanti

Le autorità di polizia del Cairo si sono affrettate a liquidare il grave incidente di ieri come "violenza privata non collegata al clima politico" ma in qualunque altro paese una lite che finisce con quindici morti sarebbe classificata come 'strage' e trattata adeguatamente dai media, anziché venire spazzata 'sotto il tappeto' per 'amor di pace'.

Quale pace poi, nell'Egitto odierno?

Certo non quella fittizia e instabile spezzata ieri dal diverbio tra i proprietari di un negozio di cosmetici e profumi e i venditori ambulamnti che coi loro poveri carretti di pomodori, cipolle e meloni stazionavano sul marciapiede antistante. Accusati dai profumieri di "intralciare il passaggio" e di "allontanare la clientela" gli ambulanti hanno rifiutato di spostarsi e, in tutta risposta, hanno ricevuto fucilate e colpi di pistola esplosi dai proprietari del negozio.

In tutta risposta essi hanno appiccato il fuoco al negozio, trasformandolo in una bara ardente per i suoi proprietari e i loro familiari che si erano rifugiati dentro di esso. Risultato: quindici vittime accertate. Questo episodio dimostra come la polarizzazione politica della società e il costante ricorso alla piazza e alla violenza come 'arma' nel discorso istituzionale abbia cominciato a fare apparire 'normale' il ricorso alla forza letale anche in diatribe 'private'.

Chi scrive ricorda un'altra spirale simile: quando dall'instabilità politica al ricorso usuale alla violenza armata si discese nella vera e propria guerra civile: era la fine degli anni '70 e lo scenario era l'idilliaca "Riviera del Medio Oriente", scintillante di neon e alberghi di lusso: il Libano.

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