sabato 6 novembre 2010

Boicotta, disinvesti, sanziona! Nuovo successo della campagna antisionista!!


Palazzinaro, trafficante di diamanti, fabbricante di prodotti chimici; questi i tre cardini su cui Lev Leviev, nato in Uzbekistan da una influente e ramificata famiglia di Ebrei ortodossi, ha edificato una fortuna valutata in oltre un miliardo e mezzo di dollari; per un periodo ha cercato anche di lanciarsi nel business delle prigioni private in Israele (visto che là i detenuti non mancano mai avrà pensato che li si potesse anche sfruttare in lavori malpagati e pericolosi) ma, forse pilotato da qualche "toga rossa", un tribunale di Tel Aviv dichiarò lo stesso concetto di prigione gestita da una corporazione come "altamente incostituzionale" e il pasciuto e lucido Mr. Leviev si é dovuto "accontentare", per cavare comunque soldi dall'umiliazione e dallo sfruttamento di altri esseri umani, di investire pesantemente nella costruzione di insediamenti illegali su terra rubata ai Palestinesi, come Har Homa e Maale Hadumim.

Adesso, "purtroppo" (per lui e per il suo gonfio portafoglio), ha dovuto rinunciare anche a questa lucrosa "venture" affaristica; a causa delle ripetute, insistenti, proteste pubbliche che erano diventare ormai parte integrante del panorama circostate le sue gioiellerie, i suoi cantieri, i suoi uffici e le sue fabbriche. Denunce, picchettaggi, slogan e cartelli (spesso semplici cartoncini con caratteri disegnati a pennarello) sono riusciti nell'impossibile...far recedere uno spregevole individuo con la cassaforte al posto del cuore e il conto corrente al posto del cervello a desistere da una (pur lucrosissima) impresa per paura di ben più consistenti danni economici alle sue altre attività.

Ignorati dai media controllati dalla lobby ebraica, attaccati dalla canaglia prezzolata dei disinformatori e degli infangatori filosionisti (quelli che urlano: 'anti$emita!' e 'olocau$to!' appena si critica l'apartheid di Tel Aviv), i manifestanti della campagna BDS (Boicottaggio, Disinvestimeto e Sanzioni) contro Israele non si sono scoraggiati e non hanno ceduto; il loro messaggio si é diffuso, capillarmente, per osmosi, come un bacillo di libertà che ha "infettato" prima migliaia e poi centinaia di migliaia di persone, fino a che ala benefica "infezione" Leviev ha potuto reagire in un solo modo: "amputandosi" il sostegno e la partecipazione alla costruzione di insediamenti.

"Africa Israel", la compagnia ammiraglia del gruppo guidato dal miliardario, ha annunciato pochi giorni fa di non essere più coinvolta direttamente o indirettamente nei progetti di insediamento in Cisgiordania, pur riservandosi di "negare" (con una foglia di fico sinceramente poco credibile) che la decisione sia nata da "preoccupazioni per le pressioni ricevute". Adlah-New York, la principale associazione coinvolta nel picchettaggio e boicottaggio delle imprese di Leviev considera la decisione "Un enorme e importante successo. che mostra la bontà e l'efficacia della campagna BDS".

La "Coalizione delle Donne israeliane per la Pace" ha rivelato che in una lettera ufficiale indirizzatale da Africa Israel veniva ripetuto con tanto di prove documentali controllabili come ogni legame con realtà finanziarie e imprenditoriali coinvolte nella costruzione dei 'settlement' fosse ormai stato rescisso e che la compagnia rimaneva da quel momento in poi coinvolta in progetti edilizi che avrebbero beneficiato l'intera comunità dei cittadini di Israele, senza distinzioni etniche o religiose.

Visto che solo nel 2008 uno spocchioso e soddisfatto Leviev dichiarava al quotidiano Haaretz che per lui gli insediamenti erano territorio israeliano senza riguardo a dove fossero costruiti o chi avesse abitato precedentemente sul loro suolo e che per lui Gerusalemme doveva "tornare" a essere una città "esclusivamente ebraica" il lettore può facilmente immaginare quale devastante impatto la campagna BDS abbia avuto sulle sue imprese, per spingerlo a una decisione tanto drastica e a profondersi in assicurazioni (con tanto di prove!) di avere del tutto interrorro il proprio coinvolgimento nella campagna sionista di furto e occupazione di terra cisgiordana.

Presentato anche a Genova "Un Muro non basta" di Andrea Merli


Un muro non basta per decidere chi ha ragione e chi torto
un muro non basta per tracciare un confine arbitrario
un muro non basta per dettare la legge del più forte

Un muro non basta per nascondere un orizzonte alla sua terra
un muro non basta per costruire una gabbia intorno a una nazione
un muro non basta per dimenticare quello che c’è dall’altra parte

Si é tenuta ieri a Genova presso il Centro Banchi di piazza De Marini la presentazione del libro fotografico "Un Muro non Basta" di Andrea Merli, dato alle stampe a Firenze per i tipi delle Edizioni della Meridiana e promosso grazie agli sforzi dell'associazione “Habibti Betlemme” di Montevarchi,

Proprio da Montevarchi lo scorso ventotto ottobre è partita la prima frazione del 'mini-tour' promozionale del volume, che ha toccato nel giro di pochi giorni le località di Sansepolcro, Anghiari, Varazze e, appunto, Genova.

Il libro presenta centocinquanta immagini fra le migliaia scattate dall'autore e dal fotografo Federico Busonero per raccontare la condizione della Palestina di oggi, dove il muro rappresenta soltanto uno dei volti dell’occupazione israeliana sul territorio della Cisgiordania.

Così l'autore Andrea Merli, che per oltre sei anni ha vissuto in Palestina, ha raccontato la genesi dell'opera: "Mentre assistevo alla frammentazione della Palestina, senza alcuna possibilità di fermare un solo movimento delle gru che scaricavano i blocchi di cemento, ho voluto fermare la luce. Per quanto fosse alto e impenetrabile, quel muro non poteva fermare la luce che ogni giorno, inesorabile, ne mostrava le fattezze".

Foto come gocce di memoria, foto come mani levate contro i missili, i proiettili di plastica sparati in testa, i bulldozer corazzati dell' "esercito più (im)morale del mondo".

Foto come istanti cristallizzati in una saga che contrappone il coraggio della speranza e della lotta per la giustizia alla sopraffazione e alla violenza consumate con la complicità di coloro che "non si schierano", "non prendono posizione", di coloro che (vista la tappa genovese la citazione é quasi obbligatoria): "si credono assolti, ma sono per sempre coinvolti".

venerdì 5 novembre 2010

Mr. Clinton racconta favole sul "processo di pace" dalle colonne del NY Times



In un articolo pubblicato sulle pagine del New York Times l'ex presidente usa Bill Clinton mette a frutto l'eloquenza esercitata negli anni di conferenze e letture pagate profumatissimamente e tesse, con una sapiente mescolanza di pietismo, anedottica e gusto teatrale quello che dovrebbe leggersi come un "commosso e commovente" panegirico di Ytzhak Rabin, l'ex primo ministro israeliano assassinato da un Ebreo fondamentalista per aver firmato con Arafat gli "Accordi di Oslo", ma che in realtà, a una lettura informata e disincantata, si rivela come l'ennesimo inutile tentativo, da parte americana, di rivitalizzare l'agonizzante "Processo di pace" centrato attorno al dialogo Abbas-Netanyahu.

In tutta la sua retorica rievocatrice Clinton non si ferma mai a ricordare al lettore che il capo di Fatah Mahmoud Abbas non ha ALCUN TITOLO per condurre trattative a nome dei Palestinesi ESSENDO IL SUO MANDATO PRESIDENZIALE SCADUTO DA OLTRE VENTIDUE MESI. Abbas è semplicemente "l'uomo forte" di una fazione politica (Fatah), che ha ignominiosamente perso le libere e democratiche elezioni tenutesi nel 2006 in tutta la Palestina, non ha accettato la spartizione del potere con Hamas e il governo da esso espresso e ha tentato di rovesciare il voto con il fallito colpo di stato del 2007.

Si questi fatti fondamentali ed essenziali per capire "perché" il processo di dialogo e trattativa che dovrebbe portare alla costituzione del fantomatico 'Stato palestinese' non vi é traccia nella narrativa clintoniana; va da sé quanto la sua lettura sia utile a formarsi una corretta idea dei passi che sarebbero necessari per portare la pace e la stabilità nella regione.

Il discorso di Clinton, la cui moglie, seduta sullo scranno del ministero degli esteri del governo Obama, non si lascia sfuggire occasione per rinsaldare i legami con gli esponenti della lobby sionista in attesa di usarne l'influenza per fare le scarpe ad Obama in sede di "nomination" per le presidenziali del 2012, si lascia andare ad apprezzamenti calorosi e bonari nei confronti di assassini come Netanyahu, l'esecutore del progetto di apartheid e pulizia etnica sognato dai rappresentanti dell'ultradestra religiosa, Ehud Olmert, il boia di Beirut e di Gaza, che scatenava Tsahal contro i civili ogni volta che perdeva un punto di popolarità rispetto ai likudnik e infine di Barak, il laburista ex-capo del Governo che oggi sostiene il Governo-monstre di Netanyahu (likudnik conservatori, razzisti dell'ultradestra e laburisti).
Democrazia "opzionale" per la Palestina. Abbas viene mantenuto al potere con l'approvazione e i soldi dell'occidente perché é noto a tutti che nuove elezioni confermerebbero il supporto della popolazione ad Hamas.
Il Governo israeliano passa leggi razziste e discriminatorie, i coloni ebrei dell'ultradestra religiosa tengono marce provocatorie e attaccano i Palestinesi in ogni dove, rubando loro la terra e distruggendo i loro luoghi di culto, le forze armate di Israele bersagliano i Palestinesi con la consueta impunità e, in tutto questo, una cricca di 'cacicchi' che disonora e infanga la memoria e l'eredità politica e umana di Yasser Arafat viene coccolata e vezzeggiata dall'occidente imbelle e ipocrita, che la foraggia copiosamente di fondi (su cui non viene esercitato nessun controllo e richiesta nessuna accontabilità) e, prima o poi, le chiederà persino di rifiutare "ufficialmente" l'innegoziabile "Diritto al Ritorno" (nonostante il monito che le associazioni di profughi palestinesi hanno recentemente lanciato in merito).

In realtà solo da un riavvicinamento fra Fatah e Hamas, come quello che si spera possa nascere dai prossimi colloqui di Damasco) potrebbe iniziare a prospettarsi un clima favorevole per il decollo di una trattativa con Israele; ma, qualora anche si arrivasse a quel punto, sarebbe necessario un onesto e imparziale brokeraggio della trattativa stessa da parte usa, con incentivi e dissuasioni nette e insindacabili verso Israele per farlo desistere da pratiche duplici e disoneste come quelle tenute finora nel corso dei "colloqui" con l'azzoppato e screditato Abbas.

L'Iran arresta quattro terroristi curdi pagati dall'Inghilterra

Uomini del Vevak, il "Ministero dell'Intelligence e della Sicurezza nazionale", la più importante agenzia di controspionaggio iraniana, hanno arrestato poche ore fa un commando di quattro uomini che, per conto di una organizzazione curda con ramificazioni nel Regno Unito (e finanziata dal Governo di Sua Maestà), avrebbero commesso cinque omicidi "mirati" negli ultimi ventiquattro mesi e ne stavano progettando altri. L'operazione ha avuto luogo nella città di Mariwan, nell'Iran nordoccidentale (al confine col Caucaso) e si sarebbe conclusa senza spargimento di sangue e con la cattura dei quattro terroristi.

I quattro killer sarebbero, secondo quanto riporta l'agenzia di stampa cinese Xinhua si chiamerebbero: Majid Bakhtiar, Hajeer Ebrahimi, Loqman Moradi e Zanyar Moradi e sarebbero stati assoldati dal "Komalah", un gruppo politico curdo attivo nell'Irak del nord. Sarebbero stati reclutati da Jalil Fattahi, esponente del gruppo che risiede in Gran Bretagna e che é accreditato di conoscenze ed appoggi nella comunità dei servizi segreti inglesi.

Il Governo di coalizione al potere nel Regno Unito si è affrettato a smentire, definendo, per bocca di un suo sottosegretario, l'addebito come una "infondata maldicenza" e ribadendo che "La Gran Bretagna non sostiene o incoraggia il terrorismo, in Iran o altrove".

Peccato che, pochi giorni addietro, ci aveva preventivamente pensato il capo degli "007" del MI6, il baronetto John Sawers, a smentire le parole del povero sottosegretario, ribadendo la "necessità" di condurre "operazioni non convenzionali" per impedire alla Repubblica Iraniana di dotarsi di tecnologie nucleari.

Una vera uscita degna di uno sketch dei Monty Phyton, possibilmente quello sulla gara per il più grande "Upper class twit" dell'anno.

Hezbollah si attrezza contro nemici interni ed esterni (Parte 1)


Hezbollah, il popolare movimento politico nato nella comunità sciita libanese come reazione alle violenze degli occupanti israeliani negli anni '80 (ma ormai sostenuto anche da altre sette e minoranze del variegato mosaico etnico/religioso che chiamiamo Libano), si trova a un bivio; davanti a lui, da ambo le parti, lo attendono sfide diverse e molto impegnative e non é detto che, qualunque strada scelga di percorrere il movimento di Nasrallah, in definitiva non debba trovarsi ad affrontarle entrambe.

Da una parte, infatti, lo attende l'insidioso tranello del "Tribunale speciale sul Libano", lo strumento appositamente "cucinato" da Stati Uniti, Israele, Arabia Saudita ed emirati sunniti del Golfo per contrastare la crescente popolarità del partito di resistenza sciita (addossandogli la colpa dell'attentato che uccise l'ex primo ministro Rafiq Hariri); dall'altro lato, addirittura, si profila la possibilità di un nuovo confronto armato con Israele, questa volta gravato da nuove minacce interne, che potrebbero far riprecipitare l'intero Libano nel vortice insanguinato della guerra civile.
Cratere lasciato dall'ordigno che ha ucciso Hariri. La profondità dello stesso lascia intendere che l'ex politico libanese sia stato ucciso con un'arma sganciata da un aereo, probabilmente israeliano.
Rafiq Hariri, come si ricorderà, venne ucciso da una bomba o un missile nel febbraio 2005, mesi dopo essersi dimesso dalla carica che aveva ricoperto per la seconda volta tra il 2000 e il 2004 (il primo Governo lo aveva guidato tra il 1992 e il 1998). davanti all'hotel Saint George, nel centro di Beirut. La sua morte diede la stura a un rapido mulinello di cambiamenti politici che videro la definitiva partenza delle ultime truppe siriane che stazionavano in Libano (una presenza che aveva avuto inizio nel 1975), ma che, infine, rafforzarono proprio l'ala filosiriana dell'arco politico libanese (di cui Hezbollah fa parte, insieme ad Amal, al Partito socialista della nazione siriana e al Partito democratico libanese), visto che, terminato il ritiro, l'occupazione da parte di Israele di porzioni di territorio libanese diventava ancora più ingiustificabile (la scusa israeliana era che le Shebaa Farms erano un 'bilanciamento' per la presenza di armati siriani nel paese).
Nel Luglio 2010 una cellula di spie israeliane in Libano é stata smantellata con oltre 70 arresti. Alcuni agenti erano attivi nel Paese dei cedri fin dal 1984.
Il fallimento della maldestra manovra, nella quale si può riconoscere il "modus operandi" della CIA e delle sue "rivoluzioni colorate" ('rivoluzione arancione' in Ucraina, 'rivoluzione delle rose' in Georgia, tentata 'rivoluzione verde' in Iran), con tanto di operazione sotto falsa bandiera con vittima eccellente da trasformare in martire, fece quindi volgere i burattinai americani e israeliani verso l'opzione militare, la maniera "forte" (dove invece l'assassinio di Hariri doveva essere la maniera "dolce" di marginalizzare la maggioranza anti-israeliana e filo-siriana nella rappresentanza politica e governativa del paese); il risultato fu il duro conflitto del 2006, che tuttavia si concluse con la sconfitta dell'aggressore israeliano: la guerra iniziata per 'distruggere Hezbollah' si concludeva con Hezbollah ancora attivo e operante e, soprattutto, gratificato di una popolarità enorme non solo nel mondo sciita, ma in tutta l'area araba e musulmana.

Da allora, prosegue le sue inchieste il "Tribunale speciale per il Libano", che, pezzo dopo pezzo, mentre Hezbollah era impegnato ad aiutare le popolazioni del sud del Libano colpite dall'aggressione israeliana e ricostruire la sua ala militare (sola garanzia contro nuovi e più feroci attacchi sionisti) é stato lentamente trasformato in un nuovo mezzo di offensiva "morbida" contro il partito sciita e i suoi alleati...probabilmente dalle stesse mani che hanno armato la bomba contro Hariri; le stesse mani che hanno importato il suo SUV da Sharjah, negli Emirati Arabi (uno stato notoriamente nemico degli sciiti e allineato con gli Usa).

Tali disonesti maneggi sono ormai evidenti all'opinione pubblica libanese che, secondo un sondaggio del quotidiano As-Safir si é espressa secondo le seguenti percentuali: al 60% in favore dell'idea che il Tribunale sia parziale e politicizzato, in un altro quesito il 43% del campione ha espresso il desiderio che i dossier del Tribunale siano cancellati e che venga indetta una nuova inchiesta e, a una terza domanda, oltre il quaranta per cento degli intervistati ha dichiarato di essere certo che Hariri sia stato ucciso dalla CIA, in eventuale cooperazione col Mossad.



Per ora Hezbollah sta resistendo alle invadenti richieste degli "investigatori" del tribunale in maniera pacifica e passiva, rifiutando di cooperare con un organismo che cerca in ogni modo di provare suoi presunti collegamenti con un presunto "attentato tramite autobomba" e invitando tutti i Libanesi che amano l'indipendenza della loro nazione a fare altrettanto, ma non é detto che in un prossimo futuro la situazione non si evolva verso un confronto diretto.



Già nel recente passato le forze filo-Usa e anti-siriane hanno provato a danneggiare l'immagine di Hezbollah attaccando le sue strutture o i suoi uomini e poi cercando di stigmatizzarne la reazione, come nel caso degli scontri del 2008. In un paese duramente provato da quindici anni di guerra civile il ricorso alla violenza politica potrebbe essere devastante e danneggiare per sempre la popolarità accumulata da Hezbollah per la sua vittoria contro Israele, ma finora tutti i tentativi di indurre Nasrallah alla forza sono stati vani e il partito sciita continua a essere al centro del complesso palcoscenico libanese, in attesa, forse di misurarsi con il nemico di sempre...(FINE PRIMA PARTE, il reportage CONTINUA in un ALTRO POST).

giovedì 4 novembre 2010

I bambini di Gaza soffrono di traumi e incubi dopo il "pogrom" sionista

La lotta per il futuro della Palestina e dei Palestinesi si combatte, anche, nel web e all'interno dell'infosfera; questo é uno dei motivi per i quali Palaestina Felix é stato pensato, progettato e varato. Se i diritti dei Palestinesi si difendessero solo nelle strade di Nablus, Hebron, Gaza e Gerusalemme un blog come questo sarebbe utile soltato a rendere la cronaca di quegli avvenimenti, ma, al contrario, i compilatori, redattori e traduttori di questo blog pensano che quella sia solo una parte dei loro compiti e, forse, nell'epoca della Rete e del Villaggio globale, nemmeno la più essenziale e importante.

Esiste una vera e propria guerra, il cui campo di battaglia sono le menti e i cuori di dozzine di milioni di persone che non hanno mai visto le macerie di un bombardamento sionista, non hanno mai ascoltato le grida e i pianti dei bambini resi orfani o mutilati dai "pogrom" militari di Tsahal, che non hanno mai inalato i gas stordenti e urticanti usati dagli "aguzzini più morali del mondo" e non hanno mai sentito l'impatto dei loro proiettili di plastica sulle proprie membra, e che tuttavia possono rivelarsi importantissimi (per non dire fondamentali) nel determinare il fato finale della Palestina: devastata dall'aggressione di Israele, occupata per sempre dai suoi coloni fondamentalisti, oppure vivificata da una vera ed efficace democrazia, dove ogni arabo, ebreo, druso, armeno, samaritano e alawita possa vivere in pace con i suoi vicini.

Queste persone formano le opinioni pubbliche dei vari paesi occidentali. La canaglia della lobby filosionista ha spesso facile gioco ad ammannire loro menzogne e distorsioni: del resto i paesi occidentali sono paesi capitalisti e 'sviluppati' (nel senso che ai loro abitanti viene consentito di sprecare molto denaro in beni di consumo costruiti con le risorse sottratte al Terzo Mondo) e anche Israele lo é, i paesi occidentali (per la maggior parte) hanno sacrificato le loro peculiarità storiche e culturali alla religione del benessere di stampo anglosassone e americano, e anche Israele propugna tale religione (per i suoi cittadini ebrei, per gli arabi ovviamente c'é l'apartheid, il bantustan e il manganello), nei paesi occidentali, infine, le "masse" ricevono le informazioni sul mondo circostante da giornali e televisioni, e Israele, o personaggi vicini e collegati con Israele, controllano la stragrande maggioranza di quelle televisioni e di quei giornali, riuscendo così, col solo "peso specifico" degli outlet a loro asserviti a dettare la loro "agenda" anche a quei mezzi di comunicazione non direttamente sotto la loro stretta.

Una delle più famose "polpette avvelenate" lanciate al pubblico occidentale dai media filosionisti é stata, senza alcun dubbio, la saga del "Topolino di Hamas" che, partita da un piccolo e marginale sito web pro-israele il cosiddetto (Istituto di analisi dei media del Medio Oriente...Memri), ha fatto rapidamente il giro del mondo, apparendo sulle edizioni principali e sulle prime pagine e homepage dei telegiornali della CNN, della BBC, dei quotidiani della Associated Press e così via.

La "polpetta", poi, era particolarmente scarna: un semplice filmato registrato da una trasmissione per bambini emessa dalla televisione di Hamas (qualche tempo dopo la sua vittoria nelle elezioni palestinesi del 2006) in cui un presentatore in un costume 'plushy' leggermente somigliante al topolino disneyano (il cui nome veniva riportato come 'Farfour' o 'Farfur') poneva delle domande a un gruppo di bambini.

MEMRI, per venire incontro alle esigenze di tutti coloro che "non parlavano né capivano l'arabo" aveva provvisto una traduzione sovrimpressa del presunto scambio di battute che, pur molto smorzato, era tuttavia udibile in sottofondo; grande fu la costernazione del pubblico occidentale nel leggere quei sottotitoli! Il "topolino" del movimento di resistenza musulmano invitava i bambini a sparare, a uccidere "gli ebrei", a vestire giubbe esplosive, a diventare "attentatori suicidi"!!!

I media statunitensi, perennemente affamati di semplificazioni buffonesche, andarono a nozze col filmato. Questo stupido e superficiale "cartoon" ne é la prova.

Ma...era vero?

Ovviamente...no!!

Ovviamente no, come ogni volta che si ha a che fare con la rozza, disingenua e maldestra propaganda sionista; fidando nel fatto che PRESSOCHE' NESSUNO in 'occidente' parli arabo, i redattori di Memri avevano esagerato qui e là il tono del dialogo fra "topolino" e i suoi piccoli ospiti, in altri punti, addirittura, aveva bellamente inventato alcune frasi (le più violente e incriminanti).



Esempio dei sottotitoli di MEMRI

Presentatore: "Che cosa faremo per difendere Al-Aqsa?" "Io sparerò" (la seconda frase non corrisponde ad alcun suono emesso dal presentatore, ma si avvantaggia del basso volume del parlato e di un gesto che potrebbe essere interpretato come il mimare un fucile imbracciato).

Bambina#1: "Anche io sparerò" (Nel parlato arabo, e nel labiale della bambina si sente/vede chiaramente che dice: "Io farò un disegno", complimenti Memri, traduzione ineccepibile!)

Presentatore: "Resisteremo per Al-Aqsa?"

Bambina#1: "Sì, combatteremo" (Nel parlato la bambina dice: 'bidna nqawim' cioé 'resisteremo', ma Memri ci gratifica di un sottotitolo più aggressivo, 'combatteremo', per insegnarci che tutti i Palestinesi sono belve feroci fin da piccoli, che non vogliono altro che combattere e uccidere...)

Presentatore: "Che cosa faremo, allora, se verremo attaccati?"

Bambina#2: "Annienteremo gli ebrei" (Nel parlato arabo, si sente piuttosto chiaramente che la frase non è attiva ma passiva -bitokhoona al-yahud-, quindi: "Gli ebrei (ci) annienteranno/ci uccideranno")

Presentatore: "Che faremo, se Al-Aqsa verrà attaccata?"

Bambina#2: "Commetteremo martirio" (Inteso nel senso di "ci faremo esplodere", mentre nel parlato la bambina dice chiaramente: "DIVENTEREMO martiri", nel senso, verremo uccisi senza poterci difendere).

Questa rievocazione è importante se messa in prospettiva e confrontata col nostro recente articolo sul tentativo sionista di "disumanizzare" i Palestinesi, in maniera da sopire ogni remora morale o "rischio" di empatia emotiva del pubblico occidentale con essi. Una volta presentato il popolo di Palestina come una "mandria" indistinta di bizzarri animali scuri, con costumi assurdi e barbari, che indottrina i propri bambini alla violenza fin da piccoli, il bravo occidentale li eviterà come la peste e si identificherà semmai col moderno e 'bianco' israeliano che, dotato di tutte le armi più sofisticate e tecnologiche, li "tiene al loro posto".

Per smontare ulteriormente la vulgata filosionista e anti-Araba/anti-Palestinese, testimonianze video come quella riportata in embed qui sotto sono utilissime, di valore pressoché incalcolabile. Nel breve video si possono vedere bambini di Gaza, sopravvissuti senza ferite fisiche al brutale assalto militare condotto poco meno di due anni fa sulla Striscia dalle truppe sioniste, giocare insieme a genitori ed educatori in un piccolo parco attrezzato con tappeti elastici, scivoli, piscine e tutti quegli altri semplici attrezzi che hanno il potere di evocare divertimento e buonumore in tutti i bambini di ogni popolo e ogni razza.



Ma il momento di gioco non é solamente ricreazione e svago, é anche terapia, visto che quasi la metà dei bambini e dei ragazzi di Gaza non ha potuto evitare di sviluppare qualche sintomo di PTSD dopo l'allucinante esperienza del "pogrom".
PTSD e il "Disordine da esaurimento post-trauma", descrizione moderna e aggiornata del vecchio "Shock da esplosione" di cui soffrivano i soldati della Prima e della Seconda Guerra Mondiale, e di cui soffrono ancora oggi i veterani del Vietnam, dell'Irak, dell'Afghanistan.

Illuminanti sono le parole di Abdel Aziz Thabet, psicologo infantile del "Centro palestinese di terapia del trauma" che ai microfoni di Al-Jazeera narra: "Dopo la fine delle incursioni e dei bombardamenti, tutti i bambini che venivano da me dicevano: 'voglio diventare un guerriero', 'voglio diventare un soldato', 'voglio che agli israeliani succeda quel che é successo a me', dobbiamo NORMALIZZARE questi bambini palestinesi, NORMALIZZARLI perché possano vivere come tutti gli altri bambini del mondo".

Se le menzogne spudorate della canea filosionista fossero vere, a Gaza Hamas dovrebbe avere dei veri e propri "centri di indottrinamento" per capitalizzare sullo shock e sui traumi subiti da questi bambini e ragazzi...invece il legittimo Governo palestinese espresso da Hamas dà al professor Thabet i fondi e i mezzi per NORMALIZZARE le menti provate dalla violenza israeliana, normalizzarle e dare loro una speranza di pace.

Gli svedesi protestano contro Shaul Mofaz a Stoccolma

Il politico israeliano Shaul Mofaz, appartenente al partito 'Kadima' fondato dal criminale di guerra Ariel Sharon, responsabile del Massacro di Sabra e Chatila, pensava forse di raccogliere una facile messe di applausi presentandosi all'Istituto svedese di Relazioni Internazionali per tenere una conferenza.

Con il Likud e gli ultraoltranzisti al Governo (sostenuti dalla complicità coi Laburisti) é facile per il partito 'Kadima' cercare una patina di "moderazione" e "consenso" assumendo posizioni appena meno razziste e violente di quelle propugnate dall'esecutivo in carica, per esempio raccomandando la ricerca di un 'dialogo' di qualche genere con Hamas e il ritiro delle colonie di fanatici ultraortodossi dalla Cisgiordania.



Ma i cittadini svedesi, che hanno buona cultura e memoria lunga, si sono perfettamente ricordati che Shaul Mofaz faceva parte a pieno titolo del Governo sionista che fra 2006 e 2009 ha scatenato per fini prettamente elettoralistici, di indici di gradimento e proiezioni di voto, ben due sanguinose aggressioni militari: quella contro il Libano e il "pogrom" contro la Striscia di Gaza.

Conseguentemente si sono presentati numerosi e agguerriti davanti al luogo della conferenza di Mofaz, brandendo bandiere palestinesi, vessilli dei partiti della Sinistra e cartelli che invocavano la fine dell'Apartheid sionista tramite l'arma del boicottaggio economico, culturare e anche politico.

La Svezia é uno dei paesi europei più impegnati nella lotta ai crimini del sionismo: lo scorso anno un match di Coppa Davis contro Israele si era tenuto nel paese senza pubblico per timore di scontri e proteste e nei porti svedesi le navi e le merci israeliane ormai non possono più attraccare o sbarcare grazie alla compatta azione di boicottaggio di scaricatori e trasportatori.

Israele acceca ragazzo palestinese con un gas 'anti-sommossa'


Un residente palestinese di Silwan, il quartiere di Gerusalemme al centro dei tentativi israeliani di sradicare i residenti arabi per far posto a colonie di violenti e fanatici fondamentalisti ebrei, é diventato cieco dopo essere stato esposto a un "nuovo" gas lacrimogeno israeliano, usato dall'esercito durante scontri avvenuti a fine Settembre, oltre un mese fa.

Il Centro informativo Wadi Hilwa comunica che Ahmed Al-Juba, di appena vent'anni, ha "progressivamente accusato un abbassamento della vista, fino a giungere all'effettiva cecità", dopo essere rimasto esposto a un 'agente chimico lacrimogeno' utilizzato dalle forze israeliane contro di lui e altri manifestanti del quartiere di Silwan.

Israele non è nuovo a "sperimentare" sul campo nuove armi e tecniche di repressione, utilizzando la popolazione palestinese oppressa come "cavia umana"; durante recenti scontri con forze di sicurezza israeliane diverse fonti palestinesi hanno riportato casi di "bruciature" e "urticazioni" sospette, che hanno fatto pensare all'uso di proiettori di micro-onde, adesso il caso del giovane Al-Juba fa pensare che lo stato ebraico stia giocando al "piccolo chimico", testando combinazioni di gas più efficacemente dannose in luogo dei "normali" lacrimogeni (che possono di per sé soffocare o intossicare).

mercoledì 3 novembre 2010

Al terrorismo dell'esercito israeliano Gaza resiste anche con una festa

Come si può festeggiare quando si vive da quattro anni sotto il brutale assedio dello stato sionista, sottoposti in ogni momento alla violenza e all'intimidazione delle sue truppe che si esercitano al "tiro al bersaglio" su qualunque obiettivo umano, forse pianificando un prossimo, spietato "pogrom" militare che replichi le atrocità di quello inflitto meno di due anni fa?

Ebbene, nella loro ferma determinazione a resistere sempre e comunque alla violenza di Israele il popolo di Gaza riesce perfino a trovare la forza di festeggiare e onorare i feriti dello stesso "pogrom" col quale lo stato ebraico voleva spezzare il morale dei Palestinesi e sottometterli alla sua mercé.

Organizzata da una delle agenzie del legittimo Governo palestinese espresso da Hamas (residente in Gaza dopo il fallito colpo di stato tentato dalla fazione di Abbas dopo le elezioni del 2006) la cerimonia é stata mirata a onorare tutti coloro che si sono sacrificati, spesso esponendosi al fuoco delle truppe d'invasione israeliane, per proteggere e portare al sicuro le loro famiglie e per difendere la loro Patria.

Il primo vice-segretario del consiglio legislativo, Ahmed Bahr, ha dichiarato che: "Mai Israele riuscirà a piegare Gaza, fino a quando il suo popolo saprà esprimere coraggiosi combattenti della Resistenza come quelli che onoriamo oggi". Un altro esponente governativo, Adham Balogi, ha invitato la popolazione di Gaza a continuare il suo contributo e non far mancare il suo sostegno a coloro che cercano di migliorare la qualità della vita dei numerosi feriti e mutilati vittime del "pogrom" israeliano.

Fra i settanta protagonisti dell'evento, infatti, solo sessantasette erano effettivamente presenti; i restanti erano stati impossibilitati a partecipare da necessità cliniche e terapeutiche.

L'evento é stato un grande successo: punteggiato da musiche tradizionali e moderne, danze, esibizioni recitative e riuscite coreografie.

Haneen Zoabi: "Due Stati? Non diciamo sciocchezze!"


Non esiste "la benché minima chance" per il successo della favoleggiata "Soluzione a due Stati" e, mentre pronuncia la propria netta e inappellabile condanna della chimera con cui il mondo occidentale si balocca ormai da diciassette anni, dai tempi degli illusori "Accordi di Oslo", (resi lettera morta dal pervicace e ostinato rifiuto israeliano di lasciare ai Palestinesi piena autonomia sui territori che sarebbero loro affidati) il volto dolce di Haneen Zoabi assume un cipiglio duro e determinato.

"La realtà", prosegue la deputata Palestinese della Knesset, "marcia verso una 'Soluzione a uno Stato'; ma se sarà la mostruosità razzista che Lieberman e Netanyahu stanno costruendo con la complicità dei Laburisti o una realtà veramente libera e democratica, dipende soltanto da noi e dalla nostra voglia di lottare".

Eletta nel 2009 nelle fila del partito Balad (Alleanza Nazionale Democratica), lo stesso in cui militava l'attivista palestinese per i diritti umani Omar Sayid, gettato in galera da Israele con pretestuose accuse, la Zoabi si trova attualmente in Nordamerica per un tour di testimonianze e conferenze volte a mettere il pubblico occidentale in contatto con la realtà, particolarmente in quei paesi come gli Stati Uniti che soffrono pesantemente per la censura e la distorsione dell'informazione imposta dal ferreo controllo della lobby ebraica sui mass-media.
Homepage del sito web del partito Balad, in cui milita Haneen Zoabi.
Durante una delle sue conferenze la Zoabi ha incontrato studenti, personale docente e membri della comunità musulmana presso l'Università di Chicago, illustrando loro la sistematica discriminazione affrontata dai cittadini arabi di Israele, oltre un milione e duecentocinquantamila persone, che vivono sotto un sistema di segregazioni e divieti in tutto e per tutto simile all'Apartheid del vecchio Sudafrica razzista.

"Bisogna opporsi con particolare forza all'assurda e discriminatoria pretesa di Israele di vedersi 'riconosciuto' come 'Stato ebraico'", aggiunge Haneen, e quando si consideri come nessuna delle democrazie europee, asiatiche o americane pretenda di affermare "ex lege" una sua identità razziale o religiosa é difficile non ammettere la bontà del suo appello.
Un vergognoso 'cartoon' israeliano, copiato dalla pagina Facebook che invita all'assassinio di Haneen Zoabi.
La Zoabi ha raggiunto il Nordamerica nonostante le ferite inflittele dalla polizia israeliana durante le violenze seguite alla marcia provocatoria a Umm el-Fahm da parte dei fascisti israeliani ammiratori del Kach, l'organizzazione terroristica e razzista fondata dal "rabbino" Meir Kahane, tenutasi lo scorso 27 ottobre, a seguit della quale ha ricevuto due colpi inferti con proiettili di plastica.

Tuttavia, per chi é sopravvissuta al barbaro assalto armato alla Mavi Marmara, durante il quale i commando navali dell'esercito sionista massacrarono più di nove attivisti per la pace, freddandoli quando erano sdraiati faccia a terra sull tolda della nave, colpi del genere non sono nulla di cui preoccuparsi e certamente non sono in grado di fermare il suo impegno all'attivismo e alla lotta in difesa della Palestina.

Fatah capitola: i colloqui con Hamas si terranno a Damasco

Gli uomini di Abbas, infine, hanno dovuto cedere, si terranno infatti a Damasco, tra meno di una settimana, i colloqui del secondo "round" di riavvicinamento fra Hamas e Fatah: vincitore delle regolari elezioni del 2006 e power broker della Striscia di Gaza assediata dalle truppe sioniste il primo, erede della sbrindellata memoria ed eredità politica di Yasser Arafat il secondo, anche se di questi tempi il movimento che forniva la parte propulsiva e dominante della vecchia OLP é più che altro noto per aver tentato un maldestro colpo di stato contro il legittimo Governo espresso da Hamas e per essersi trasformato in una sorta di quislinghiano fiancheggiatore delle politiche di abuso e persecuzione che Israele porta avanti incontrastato nella West Bank, la Cisgiordania che Mahmud Abbas pretende di controllare (anche se non può fare nulla contro l'espansione delle colonie ebraiche fondamentaliste, contro i raid ai danni di terreni e serre palestinesi, contro il furto dell'acqua dai pozzi o contro i fermi e gli arresti illegali condotti dalle truppe di Tel Aviv).

In occasione dello scorso summit arabo di Sirte (Libia), Fatah aveva denunciato l'intenzione di sabotare il meeting con Hamas se la locazione dello stesso non fosse stata cambiata, ritenendo la Siria di Bashir Assad troppo vicina agli interessi del movimento musulmano di resistenza (Hamas ha infatti a Damasco il suo quartier generale, dove risiede il suo capo supremo Khaled Meshaal; il Capo del Governo palestinese in carica Ismail Hanyeh si trova invece a Gaza).

Ma la determinazione di Abbas, di fronte alle sempre più gravi difficoltà in cui si dibatte la sua organizzazione, di fronte al discredito sempre più grave con cui l'opinione pubblica mediorientale in generale ed araba in particolare ha preso a considerarla, di fronte alla prospettiva di essere indicato sempre di più come l'ostacolo principale al rapprochement e alla ricostituzione di un fronte palestinese unito, é andata via via scemando, sostituita probabilmente da un pragmatismo in ragion del quale il leader di Fatah spera, probabilmente, di potersi conservare, con la trattativa, un avvenire politico.

Le indiscrezioni che a sei giorni dall'incontro stanno già circolando in merito vorrebbero che in seguito ad esso un esponente di Hamas venisse nominato a capo di una agenzia palestinese di intelligence finalmente unificata (alla cui struttura provvederebbe principalmente personale di Fatah); in seguito a questo compromesso cesserebbe il dualismo fra il Governo legittimo di Gaza e l'Autorità espressa da Fatah in Cisgiordania.

Altri osservatori, più pessimisti sulle effettive possibilità di accordo, vedono nel meeting una mossa di pressione di Abbas sui suoi partner nordamericani ed europei (i cosiddetti "paesi donatori", che tengono in vita Fatah con le loro elargizioni) affinché si muovano presso Israele per far bloccare o almeno rallentare l'espansione e il consolidamento delle colonie ebraiche illegali in Cisgiordania.

Il deputato di Hamas Mahmud Musleh, durante un'intervista con i reporter del sito palestine-info.co.uk ha rimarcato come, prima di proporsi come partner credibile per un qualunque riavvicinamento con Hamas Fatah dovrebbe smettere di dare la caccia a simpatizzanti ed attivisti del movimento religioso di Resistenza nelle zone soggette alla sua autorità, e soprattutto liberare i prigionieri politici che ha preso in questi mesi.

martedì 2 novembre 2010

Ricorrenze nefaste: il 2 novembre veniva rilasciata la "Dichiarazione Balfour"

Riprendiamo e pubblichiamo senza aggiunte o interpolazioni dalle pagine di Infopal, l'agenzia stampa palestinese in Italia.

Sono passati 93 anni dalla dichiarazione di sostegno al progetto sionista di una "homeland" ebraica in Palestina rilasciata da sir Arthur James Balfour davanti al governo britannico.

Era il 2 novembre del 1917. Data nefasta per milioni di Palestinesi: da quella dichiarazione e dalle scelte politiche, dagli eventi storici che ne seguirono, verranno espulsi, privati della patria, segregati, imprigionati, torturati, uccisi, a centinaia di migliaia, a milioni.

Una immane tragedia per un popolo che aveva una Patria, i Palestinesi e la Palestina, che da sempre vi hanno vissuto, generazione dopo generazione, per secoli e secoli.

Una tragedia che non vede all'orizzonte soluzione alcuna, a causa della cecità dell'Occidente che si ostina, per debolezza, per malinteso senso di colpa, per calcolo politico, convenienza economica, tornaconto strategico, a sostenere le pressioni delle potenti "lobby sioniste" (si leggano: “La Israel Lobby e la Politica Estera Americana”, Mondadori) nella loro negazione di ogni diritto e giustizia verso i Palestinesi, a cui, nel 1948, venne sottratta la Patria (si leggano: "La pulizia etnica della Palestina", Fazi editore, e "Nakba", Edizioni Al Hikma).

Ancora oggi e in modo esponenziale, i Palestinesi sono uccisi, feriti, perseguitati, cacciati dalle proprie case e terre, derubati delle proprietà, dei diritti e della vita stessa, in totale violazione di decine e decine di risoluzioni delle Nazioni Unite e del loro Consiglio di Sicurezza.

Coloni israeliani danno alle fiamme una chiesa a Gerusalemme

Un nuovo grave caso di vandalismo e violenza perturba l'atmosfera di Gerusalemme, l'antica e storica città che dal 1967 subisce l'occupazione armata delle forze sioniste e che ultimamente è stata al centro dei programmi del Governo Netanyahu, che mira a deportarne la popolazione araba (cristiana e musulmana) per far posto all'inserimento forzato di gruppi di fondamentalisti ebrei, già utilizzati dal Governo di Israele come "battistrada" di una futura giudeizzazione forzata della città.

Questi ebrei integralisti si sono resi sempre più noti e famigerati per i loro violenti atti vandalici, mirati contro luoghi storici, culturali o religiosi delle altre comunità gerosolimitane, condotti con modalità e tecniche che richiamano alla memoria le "bravate" portate a termine in Europa e Nordamerica dai teppisti dell'ultradestra, che devastano o imbrattano luoghi "simbolo" come monumenti alla Resistenza, cimiteri ebraici e sinagoghe.

L'ultimo in ordine di tempo é stato l'attacco incendiario condotto contro una chiesa cristiana: data alle fiamme nella notte fra sabato e domenica lungo la "Strada dei Profeti", che attraversa la città dalla Porta di Damasco fino a Piazza Davidka, attraversando per intero il quartiere di Musrara.

L'edificio, costruito nel 1897 é servito fino al 1948 come sede del "Collegio biblico palestinese", fino al suo forzato trasferimento nell'attuale sede a causa della violenza armata di gruppi sionisti durante la Nakba.

Zakaria Al-Mashriqi, sacerdote nella chiesa presa di mira e leader della comunità che attorno ad essa si raccoglie, ha descritto l'attacco come "un crimine particolarmente odioso" in una città come Gerusalemme, sacra per le tre grandi religioni abramiche (giudaismo, cristianesimo, islam) e riverita da molte altre sette e denominazioni.

La scelta del bersaglio, informano le Autorità di Ramallah in un loro comunicato stampa, é probabilmente legata al recente riconoscimento da parte dell'UNESCO (l'agenzia delle Nazioni Unite per la protezione e la valorizzazione del patrimonio naturale e culturale) di includere nelle sue liste di monumenti da difendere le Moschea Ibrahimi e Moschea di Bilal Ben Rabah definendole come "siti di interesse culturale Palestinese".
L'antico e pregiato Minbar della Moschea Ibrahimi
Gli ultrà di estrema destra, infatti, contestano la classificazione (che ha un mero valore burocratico e di catalogazione) basandosi sul fatto che vicino a dette moschee insistano luoghi di preghiera sacri anche ai giudei, come se, con la sua scelta terminologica l'UNESCO abbia in qualche modo voluto "offendere" la loro fede (trascurando il fatto che le strutture di maggior valore storico e architettonico siano quelle musulmane).

Già in passato gli ultranazionalisti israeliani hanno lasciato il loro marchio insanguinato su quegli stessi antichi edifici: come quando nel 1994 un ebreo ultraortodosso si introdusse nella moschea di Ibrahimi sparando all'impazzata sui fedeli con un fucile automatico; questa volta, invece, la loro furia cieca e insensata si é rivolta su un edificio cristiano (sempre però "colpevole" nella loro ottica razzista e sciovinista di fare parte del patrimonio storico e culturale dei Palestinesi).
La Moschea di Bilal Ibn Rabah in una foto d'epoca.
L'attentato ha suscitato reazioni in tutta la Palestina e oltre: il Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina e il Movimento Musulmano Palestinese hanno rilasciato dichiarazioni sdegnate chiedendo altresì un'azione congiunta politico-diplomatica che porti al termine delle politiche israeliane di "sradicamento" degli abitanti Palestinesi di Gerusalemme e all'infiltrazione di coloni fondamentalisti ebrei. Il Movimento Musulmano Palestinese, per bocca del suo portavoce, l'avvocato Zahi Njedat ha annunciato di aver catalogato l'attentato sionista nella sua lista di aggressioni a luoghi sacri palestinesi, pur essendo avvenuto contro una struttura di fede diversa.

Il capo della OIC, Ekmeleddin Ihsanoglu (foto sopra), condannando l'avvenuto, ha esteso un appello all'intera comunità internazionale perché vigili più strettamente sui luoghi sacri dell'intera Terra Santa.

Ramin Mehman-Parast, portavoce del Ministero degli Esteri della Repubblica Islamica Iraniana, ha esteso un comunicato di condanna dell'accaduto, rimarcando come il governo israeliano non faccia nulla per cercare di porre un freno agli eccessi di queste frange ultranazionaliste di estrema destra, ma anzi, cerchi costantemente un approccio e una coordinazione con esse, nell'ambito delle sue politiche provocative e persecutorie contro l'intera comunità Palestinese: cristiana e musulmana.