venerdì 5 luglio 2013

Turchia e la Tunisia denunciano l'intervento dell'Esercito egiziano negli affari politici del Paese, guardando preoccupate ai loro generali

Con toni e motivazioni in parte diverse Tunisi e Ankara si sono nelle ultime ore pronunciare in maniere simili sulla crisi egiziana e sull'ingerenza in esso delle Forze Armate chiamandole 'usurpatrici di funzioni non loro' e facendo notare come il loro intervento ponga uno sgradevole precedente che potrebbe influenzare il futuro politico del grande paese nordafricano.

Nonostante sia una formazione politica ispirata all'Islam l'Ennahda tunisino non ha quasi nulla a che spartire con l'Ikhwan egiziano, non essendone una filiazione e non condividendone la contiguità con il radicalismo wahabita. L'Ennahda, pur ampiamente premiato alle urne ha preferito fare un Governo di coalizione con forze laiche (CPR ed Ettakatol) e ha combattuto le derive oltranziste di certi predicatori mobilitando contro di essi anche la forza pubblica.

Ben diversa la situazione in Turchia, dove Erdogan vedeva il successo dei Fratelli Musulmani in Egitto come una prova della esportabilità del suo "modello" di Governo, almeno lo faceva prima che il consenso popolare gli scoppiasse letteralmente in faccia con il pretesto dell'abbattimento di Gezi Park, ma in realtà a causa delle sue scelte ampiamente impopolari nel sostegno ai terroristi in Siria, nell'apertura del paese ai radar Usa anti-iraniani e nell'abbandono delle posizioni anti-israeliane assunte ai tempi dell'incidente della "Mavi Marmara".

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